Luigino Zorzi - Autoritrato
Luigino Zorzi - Autoritrato
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EL TESTAMENTO STERPO

 

Luigi Antonio Zorzi è nato a San Giorgio in Bosco (Padova)

 

Laureato in Lettere all’Università di Padova, insegna presso la locale scuola media.

 

Si interessa di pittura, fotografia, poesia, e prosa in dialetto veneto altopadovano.

 

Per la pittura ha partecipato a mostre collettive e personali, dilettandosi soprattutto nella ritrattistica.

 

Per la fotografia ha fornito le immagini iconografiche (300 foto)

 

per la mostra “Case rustiche nell’Altopadovano” tenutasi a Cittadella nel 1975 e nel 1979.

 

Ha vinto il premio fotografico “Città murate” nel 1982 a Cittadella.

 

Per la poesia in dialetto veneto ha ottenuto 10 premi e 3 segnalazioni

 

in concorsi prestigiosi ad Abano, Venezia, Grado e Bassano.

 

Sue composizioni sono inserite nelle antologie dedicate a Ugo Fasolo e Biagio Marin.

 

Per la prosa in dialetto ha visto pubblicati su riviste specializzate diversi suoi racconti.

 

Ha pubblicato nel 2004 “Il testamento sterile” ( Testamento sterpo) edito dalla Provincia di Padova.

 

Nel 2008 “Vecchio Novecento a San Giorgio in Bosco, usi e costumi in un paese dell’altopiano”

 

edito dal Comune di San Giorgio in Bosco.

 

Descrivere in maniera poetica il mondo contadino, le tradizioni e gli usi familiari in esso raccolti, si presenta come un modo per avere memoria di ciò che siamo, della nostra terra e delle nostre abitudini, alcune di esse inevitabilmente dimenticate con il rapido mutamento della nostra società.
Ricordare e valorizzare nella memoria le attività tipiche dei campi e delle comunità presenti nel padovano significa imparare a conoscere meglio se stessi: il nostro territorio è ricco di un patrimonio culturale notevole e promuoverne la valorizzazione risulta fondamentale per proseguire nella nostra crescita.
Si tratta di valorizzare un’identità che esiste, molti parlano ancora il dialetto ma pochi sono gli autori che continuano a scrivere in questa lingua e per questo l’Amministrazione provinciale, attraverso la promozione di questa pubblicazione desidera sostenere le grandi capacità degli autori del nostro territorio che con la loro opera di straordinario recupero proseguono nell’accrescere l’interesse per le nostre tradizioni e per la nostra cultura.
Pur riconoscendo l’unicità di un modo di vivere descritto dal professor Zorzi nella sua opera ci auguriamo che questo testamento possa essere dunque per le generazioni future uno strumento di prosecuzione e di continuità nella tradizione, grazie anche alla carica espressiva della stessa lingua dialettale che costituisce un bene culturale di inestimabile valore.

 

LUIGI ANTONIO ZORZI

 

 

 

RACCONTI

 

 

 

IN DIALETTO ALTOPADOVANO

 

CON TESTO ITALIANO A FRONTE

 

 

 

2008

 

 

 

RACCONTI PUBBLICATI  SUL MENSILE IN LINGUA VENETA “QUATRO CIACOE”

 

 

 

 

 

Proprietà letteraria riservata

 

mar

18

mar

2014

EL SCHELETRO

 

Come ogni massajadore che se rispeta, anca Ivano sol so studio-anbueatòrio el ga, picài su i muri, tanti carteùni col corpo umano speà e sbregà in tute ‘e maniere. E dopo ‘l ga anca on schèetro, beo grando, rigorosamente de plastica. Da coalche mese el ga assunto come aiutante na dotoressa rumena, bea fiòea, che, pa rìdare, ‘a ghe ga messo in testa a Juri (el schèetro) na peruca ceéste-ciaro che ‘a’o fa, se possìbie, ncora pì orendo: pare che’l gàpia sol zhucato na mufa cu i fii lunghi.

 

A mi el me ga fato rìdare de gusto l’ultima volta che so ndato là farme el taliando de’a schina, ma no ga ridesto par gnente Bepi M., madegoto romai senzha speranzha, se mai la ga bia, e trato al càncaro, che vedéa Juri pa’a prima volta parché pa’a prima volta el ghéa ciapà el coràjo de spéndare schei da Ivano pa  farse métare a rejìme el so ossario descunìo da i doeùri.

 

Pena rivà drento, dopo ver ilustrà i so dani, el ga fato l’òcio baeotòn vardando Juri, e’l ghe ga dito a Ivano:

 

-Ciò, porco can! (se fa par dire, parché coà nessuni dise “porco can!”), no sarìa mia mejo che te scuindissi na s-cianta chea morte là? ‘A me varda mae. No ze che ‘a me parèce de’e brute maedission, fin che so coà?

 

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